Storia di come sono finita dentro – Parte terza –

Una parentesi colorata.

Più i giorni passavano e più era questa l’immagine che ai miei occhi meglio descriveva quei venerdì mattina in carcere.

Una parentesi di libertà consapevole che fremeva per rompere i margini.

Fremeva per richiedere essa stessa libertà, spazi. Per colorare la vita, portare disordine creativo in una  routine ingabbiata.

Una parentesi che solleticava i pensieri, per non permettergli di spegnersi. Di annullarsi.

Per tornare a sentire l’esigenza di urlare il proprio nome.

Smettere di sentirsi nemici di se stessi, per non vedere più nemici intorno a sé.

 Riscoprire il significato dello scambio umano, che non mercifica le possibilità ma si diverte a regalargli una vita plurale.

Che fortifica la comunità piuttosto che renderla massa in cui disperdersi.

[…….]

Quella mattina avevano cominciato a scrivere come sempre.

Incredibile- mi dicevo- Stanno scrivendo tutti.

Ha sempre qualcosa di magico quando accade.

Si. Perché scrivere è mostrarsi. Forse con paura. Forse un pò alla volta.

Ma mostrarsi.

Lottando con le parole che mancano. Che spesso sembrano non riuscire mai a dare vita a quella cosa che stiamo provando. Si, proprio quella..e che però abbiamo la volontà di trasmettere.

Lottando con quelle che invece ci vengono a cercare e che lasciamo bussare alla porta senza aprire, semplicemente perchè non siamo ancora pronti ad accoglierle.

E’ un esercizio di ricerca, di cura, continuo.

Una terapia d’inchiostro per imparare a non sciupare la vita anche quando le cose non vanno esattamente come vorremmo.

Inutile il tentativo di insabbiare.

Quando hai un foglio bianco davanti è la penna che ti guida.

Anzi, prima della penna, il vuoto…Poi l’istinto.

E non starà nascosto troppo a lungo dietro frasi che non lo rispecchiano, in cui non si riconosce e in cui non può liberarsi.

E il regalo più grande è che dopo un pò di resistenza, sei tu che non vuoi più nasconderti.

Il silenzio.

Si, si trasforma anche lui. Non è più qualcosa di assordante da cui fuggire,  ma si fa strumento nelle mani della libertà. Nelle tue mani.

[…..]

La metamorfosi.

E ‘quello che ho visto in molti di quei ragazzi.

Non il cambiamento. Non il voler essere qualcosa di diverso. Non il voler apparire.

Ma una crescita.

E la crescita non demonizza nessuna parte di sè. Semplicemente accoglie.

E in quell’accoglienza, tutto trova il suo posto.

La cosa bella della metamorfosi è che non è mai immediatamente percepibile.

E’ tanto profonda da farsi silente.

Poi un giorno ci si rende conto di essere più padroni di se stessi. Di aver reagito in maniera completamente diversa proprio lì dove più faceva male.

 Come se si fosse scavato un altro piano nella propria torre interiore.

Sei salito fino in cima e ti sei lasciato bagnare dalla pioggia senza voler aprire l’ombrello per cercare riparo. Quelle gocce le hai assorbite, assaporando la bellezza di una giornata che forse non era partita esattamente come avevi programmato,e che proprio per questo si rivela ancora più bella.

Tutto questo l’ho imparato io per prima. Con loro. Grazie a loro.

P.s. Vi regalo le righe scritte da un ragazzo che ha combattuto moltissimo con se stesso e con quella penna e che si è finalmente seduto a scrivere per noi e con noi , nel silenzio della propria stanza, dopo un anno. Poterlo finalmente leggere è stata un’esperienza meravigliosa.

“Una vita vissuta intensamente, sempre in prima fila, sempre in trincea, sempre in marcia.

Così dev’essere, perché del proprio sentire bisogna diventare protagonisti.

[…] Talvolta abbiamo paura di perdere, di sbagliare, di osare troppo o di demordere facilmente.

Un caleidoscopio di spine, petali, pioggia, sole, nuvole.

Ogni attimo deve sempre essere vissuto nella convinzione che, per essere amati, bisogna amare profondamente.

E qualunque parola si spenderà in tal senso, non sarà mai stata detta invano” (Anonimo)

parentesi-colorata

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