Nuovi orizzonti

Eccomi qua…Sono tornata a scrivere dopo tanto tempo…ma sentivo assolutamente l’urgenza di farlo…

A volte la scrittura è un modo per sciogliere grovigli interiori…questo è infatti un po’ quello che sto vivendo in questi giorni. Il Natale si avvicina e a causa delle restrizioni non potrò riabbracciare i miei cari, primi fra tutti i miei genitori. Mi rendo conto che questa è la situazione di molti, ma chiaramente ognuno porta con sé tutto il bagaglio delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo e li vive di conseguenza.

La fine dell’anno è sempre un momento di grandi bilanci..in tutta verità io posso ritenermi soddisfatta del mio…Ho cominciato a vivere in un nuovo posto, Monza, dove mi sono spostata per iniziare la convivenza con il mio compagno, ho passato ore e ore sui libri per mettere l’acceleratore e cercare di essere in tempo e a ritmo con tutti gli esami, ho lavorato tanto e ho cominciato a vivere quel famoso (e a tratti spaventoso..lasciatemelo dire) passaggio dal ruolo di figlia a quello di donna. E’ una sensazione strana…inizialmente ti sembra quasi di perdere qualche tassello…qualche pezzo di te…invece in realtà vivi una metamorfosi che ti permette di cambiare pelle senza lasciare niente indietro. Il nuovo “ruolo” ingloba e amplia il precedente, rendendoti una persona più ricca, più sfaccettata e spesso anche più in crisi (ahahah). Ma la cosa più bella di tutte è sicuramente la sensazione di costruire i mattoni della propria indipendenza. Non parlo di libertà, ma di indipendenza. Ti svegli la mattina con una nuova vocina che ti parla e che vuole essere ascoltata. Una nuova piccola te che pretende attenzioni, protezione e anche molte rassicurazioni. E sono proprio queste ultime le più difficili da dare…perchè non puoi trovarle al di fuori di te stessa..non puoi cercarle nel tuo compagno, nei tuoi genitori, nella tua migliore amica e neppure nel tuo vicino di casa. Quella vocina è “roba” tua ed è te che vuole, in un confronto da cui è impossibile scappare.

Ed è proprio questo confronto, necessario, urgente che ti fa crescere e ti permette di guardare il mondo attraverso una nuova prospettiva. Prospettiva fatta di nuovi orizzonti, spesso senza zone di approdo o porti sicuri (e per questo a volte spaventosi), ma talmente tanto pieni di nuova vita che è impossibile opporre resistenza.

Al cambiamento puoi solo andare incontro in maniera tale da trasformare questo appuntamento con il futuro in un motore di nuova evoluzione. L’alternativa è finire schiacciati da una serie di eventi che controllano te. Perché tu hai scelto di evitarli, voltandogli le spalle.

E le spalle non piacciono molto al futuro. Il futuro vuole il tuo viso, i tuoi occhi. Vuole accoglienza. Insomma, una cosa tutt’altro che semplice e sicuramente molto più facile a dirsi che a farsi, ma senz’altro stimolante. E dove c’è stimolo, c’è sempre enorme crescita. Tutto parte solo ed esclusivamente dalla nostra decisione personale.

Tante volte mi sono ritrovata sola con me stessa a pensare di non sentire quella ferma decisione dentro di me (cosa che, per inciso, mi sta succedendo proprio adesso con lo studio e le sue fantastiche scadenze all’ultimo grido). E tante volte ho pensato di essere poco coraggiosa o ancor peggio, poco determinata. Eppure poi quella forza dentro di me in qualche modo l’ho sempre trovata. La costanza di voler fare anche un solo e piccolo passo in avanti ripaga sempre. E insieme alla costanza, la gratitudine per quel piccolo e apparentemente insignificante passo è la migliore alleata. Perché i percorsi sono fatti di passi e non importa quanto la vetta possa sembrarci troppo lontana o troppo difficile. Scalando la montagna che abbiamo di fronte e affrontando tutti i momenti in cui le gambe sembreranno cedere, alla fine raggiungeremo la cima. E capiremo che peccato sarebbe stato quello di perderci quel tramonto mozzafiato.

Profondità e appuntamenti al buio.

Venerdì sera: mentre ti sbraghi pensando al weekend che hai di fronte, pensi intensamente al primo obiettivo del sabato mattina: riuscire a dormire.

Poche ore dopo. Sabato. Ore 05:45: sveglia come un grillo.

Niente. Normale amministrazione quindi.

Ti alzi, ti dirigi verso il frigo e con un occhio ancora chiuso cerchi di capire dov’è finito il tuo latte di mandorla. Prendi un pezzo di cocomero (l’hai scelto proprio male stavolta, sembra di mangiare un cetriolo). Poi decidi di buttarti sul divano e di iniziare una maratona di film.

Il primo è una sorta di appuntamento al buio. Lo scegli a caso tra la lista che ti compare di fronte. Così, giusto per sorprenderti un pò.

Parte una storia di relazioni familiari intricate in cui i protagonisti scoprono di non conoscersi così tanto come pensavano. Insomma, una di quelle storie angosciose in cui ti guardi intorno e non riconosci più le persone che fino a poco prima pensavi fossero le più importanti della tua vita. O meglio, restano ancora le più importanti, ma vivi con  l’ansia del dover ricostruire la fiducia di rapporti che pensavi fossero cristallini.

La prossima volta la tappa dell’appuntamento al buio la salti, hai già deciso.

Poi però, nel tuo masochismo, decidi di andare fino in fondo e di continuare a vederlo.

E ti ritrovi a pensare a quanto siano complicati i rapporti interpersonali. A quanto spesso si faccia fatica ad essere se stessi. A quanto raramente permettiamo alle persone di conoscerci davvero. A quanto siamo armati; neanche tanto di noi stessi, ma delle nostre difese.

E’ difficilissimo scoprire il fianco debole; lasciare a chi ci è accanto la possibilità di vederci umani, con le nostre debolezze, le nostre manie e tutti i particolari che ci rendono unici. In fondo è proprio per questi che siamo stati scelti, no?!

Ricordi che quando lavoravi in pizzeria, vedevi coppie, famiglie e amici di ogni sorta. Ti divertivi ad osservare le dinamiche teatrali che spesso si svolgevano di fronte ai tuoi occhi. La cosa più complicata era gestire la modalità confidente.

E ti ritrovavi a dover consigliare senza giudicare.

Una delle cose più difficili del mondo.

Quando l’empatia sortiva il suo effetto, ti ritrovavi a parlare con persone che avevano paura di vivere delle vere relazioni. Persone che ti dicevano: “Ma cosa significa amare? Amare è tutta una scelta di testa. E’ una lista di cose che ti piacciono e pian piano ti rendi conto la persona che hai di fronte, ti sta permettendo di spuntarle tutte”.

Eh no eh. Questo è troppo. Ma il cliente ha sempre ragione. Quindi respiri, scarichi le prime parole che ti verrebbero in mente a terra e ti concentri sul bancone che deve essere pulito in modo da poter chiudere la serata.

Poi lo guardi e rispondi. Rispondi che una risposta vera non c’è. Che ognuno ha il proprio modo di amare. Rispondi che a tuo avviso quella lista è solo un modo per difendersi. Perchè hai paura che qualcosa di diverso da quello che hai scritto, ti faccia davvero perdere la testa, aprendo la tua vita e facendoti mettere in discussione tutto.

Rispondi che essere pronti ad amare per te è un’altra cosa. Che i rapporti fanno paura, ti mettono davanti a te stessa più di ogni altra cosa al mondo ma che sono la palestra più allenante di tutte. Che la sensazione di riuscire a sentire qualcuno come parte di te in maniera così tanto intensa è il regalo più bello del mondo. Che nessuno specchio sarà mai così tanto riflettente come il viso della persona che ami.

Che quando hai la fortuna di provare qualcosa di simile, vuoi tutt’altro che carta e penna per ridurre qualcosa ad una lista.

Voli su un’altra dimensione. E nel farlo cresci e cresci così tanto che alla fine devi rispiegare te stessa a chi pensa di averti sempre conosciuta.

Perchè l’amore è questo. Una porta che si apre sulla te più profonda.

Ecco perchè fa così paura.

Ma quando riesci a toccare quella profondità e l’abbracci capisci che era esattamente questo, quello che stavi cercando.

Parte il secondo film. No eh. Un altro così no.

Com’è che si chiamava l’horror che avevi letto ieri?

 

 

Usare la vita per trasmetterla.

Don’t find a job, find a mission.
“Non cercare un lavoro, cerca una missione”.
Oggi ho trovato questa frase mentre stavo preparando le slide per un nuovo progetto.
Mi ha colpita molto. Sarà che la lingua inglese va dritta al punto. Sarà che questa frase ha sempre rispecchiato la mia filosofia lavorativa.
Sarà perchè per lavoro, quando incontro qualcuno che, in controtendenza al pessimismo cosmico, fa il proprio mestiere con passione, lo percepisco vibrare in maniera diversa.
Gli occhi accesi. L’entusiasmo.
Quando ero piccola ogni periodo dichiaravo di voler fare un lavoro differente. E puntualmente questo lavoro di turno era quello di qualcuno che avevo incontrato e che era riuscito a trasmettermi la sua passione.
Non guardavo il mestiere. Percepivo l’entusiasmo.
Era l’entusiasmo quello che volevo fare mio.
Quello che dopo tanti anni ti porta a guardare le stesse cose in maniera instancabilmente diversa.
Quello che ti permette di trasmettere.
Perchè lavorare è questo: trasmettere.
Nel lavoro plasmi te stesso e plasmi ciò che fai sulla base di quello che sei. Ecco perchè ognuno è unico e insostituibile.
Ed ecco perchè non ha senso paragonarsi agli altri.
Perchè ognuno ha la sua propria di missione.
Penso che sia fondamentale capire cosa alimenta il nostro personale motore. Che cosa ci permette di andare sempre avanti nonostante tutto. Ciò che non può e non deve mancare mai.
Al di là delle circostanze, degli stati d’animo, delle scelte.
Avere una fiamma viva dentro, è avere una bussola.
Un richiamo a quelli occhi accesi. Sempre
Don’t find a job, find a mission.
#mission #lavoro #passione 

E quindi scrivi.

Quando le sensazioni non si possono spiegare e c’è bisogno di fare ordine nel caos, allora scrivi.
E’ un istinto. Un prolungamento.
Scrivi della signora che oggi al negozio di alimentari, scusandosi, ti ha chiesto di aspettare un attimo ed è scappata nel retro bottega.
Dalla finestrella la vedi abbracciarsi con un tizio che sembrerebbe essere il marito. E tu un attimino scleri. Un pò perchè rosichi e un pò perchè le lancette dell’orologio corrono e tu sei lì ad aspettare i suoi comodi.
Poi sorridi. Solo i vecchi alimentari di paese sono così. Lì dove le logiche del “Corriamo tutti sempre e comunque” sembrano non toccare minimamente le dinamiche quotidiane.
“Signorina, mi scusi, mio marito sta per ripartire per lavoro e avevo bisogno di salutarlo”.
Vorresti dirle che hai rosicato ma che conosci bene quegli abbracci. Quei momenti in cui vorresti dire tutto, ma poi finisci per stare in silenzio. E quella parte di te che è rimasta lì, a zonzo, tra gli abbracci e i chilometri.
Scrivi della bellezza che ti circonda. Anche di quella che a volte si manifesta in momenti che sono tutto tranne che belli. E che per questo apprezzi ancora di più.
E’ una bellezza che vivi e conquisti.
Lo fai non sapendo di preciso dove andare e forse nemmeno quanto tempo ci vorrà. Ma sai che c’è. E questo a volta basta di meno, a volte di più. Ma basta sempre.
Scrivi delle vittorie di cui brillano le persone che ti sono accanto e che spesso vivi in maniera ancora più intensa delle tue. Perchè il bello dei rapporti è proprio questo. Vivi la giornata di cinque persone in una. E l’esistenza si prolunga. Prende aria, respiro. Si amplia.
Scrivi anche quando non sai bene cosa scrivere, perchè ti ricordi Beethoven: “Ogni giorno un rigo”.
Le frasi che fungono un pò da grillo parlante. E quindi puntualmente ci scleri.
Scrivi delle decisioni che ti cambiano dentro. Un giorno ti svegli e hai fatto un saltino. E quel salto ti dà coraggio a prescindere dagli effetti che vedi già manifesti.
Scrivi e il caos rientra.
Domani ce ne sarà altro ma nel frattempo, va bene così.

Granelli di complessità.

Milano. Venerdì. Ore 05:45.
Ma le vacanze non erano fatte per eliminare la sveglia?
So che non posso assolutamente fare tardi e perdere l’aereo.
Anche se, trattandosi del ritorno, potrei fare un’eccezione.
Ma la mia fastidiosa disciplina me lo impedisce e infatti stavolta sono stramaledettamente puntuale. Anche troppo. Il che mi innervosisce.
Salto le smancerie dei saluti al mio ragazzo. Saluti ai quali non mi abituerò mai abbastanza.
Controlli su controlli. Mi scordo di avere la cosiddetta “priority” quindi rifaccio la fila due volte (giusto per gradire).
Quando riesco a poggiare il posteriore sul sedile e mi accoccolo per dormire un pò, il bambino seduto sul sedile affianco al mio comincia a piangere disperato e i genitori non riescono a placarlo in alcun modo.
Stessa scenetta sul sedile posteriore.
Sarà un fantastico viaggio. Ci sono tutti i presupposti, vedo.
Per fortuna ho i miei appunti di viaggio e il mio blocco con me; quindi riordino le idee e mi metto a scrivere. Sapevo isolarmi dal mondo, quindi dovrei ancora riuscire a farlo.
In queste settimane ho conosciuto tantissime nuove persone.
Tutte indistintamente mi hanno lasciato addosso qualcosa di nuovo. E tutte in qualche modo mi hanno portato a riflettere sul cambiamento.
C’è un fil rouge che innegabilmente ci lega. In quanto vita, in quanto esseri umani. E spesso questo filo si diverte a far incontrare persone che condividono gli stessi bisogni, le stesse “stanze” e senz’altro, le stesse paure.
Mi sono resa conto che la cosa più bella che possa esserci nella vita è proprio questa magia. Sentirsi soli rispetto ad una sofferenza, credere di avere pensieri sciocchi e sentire tutto ad un tratto qualcuno che ti dice “sai, anch’io..”.
Dare agli altri la possibilità di essere se stessi è senza dubbio una delle cose più importanti; accettare che ogni singolo giorno sia una nuova possibilità per conoscerli ancora e ancora. Che non ci sarà mai un limite a questo.
Accettare di essere noi stessi qualcosa che scorre. Non un poster immobile sempre uguale a se stesso.
Troppo semplice volere bene a qualcuno soltanto quando resta all’interno degli schemi che noi abbiamo scelto per descriverlo e che probabilmente ci fanno comodo.
Troppo semplice e troppo riduttivo.
E’ un allenamento soprattutto per se stessi. Per tutte le volte in cui ci giudichiamo perchè andiamo fuori dal tracciato, perchè pensiamo che gli altri così ci ameranno meno e che forse stiamo osando troppo.
Qualcuno proprio oggi mi ha ricordato che la vita è fatta per osare.
Tutti hanno il diritto di essere conosciuti e amati per la propria complessità. Anche quella scomoda. Anche quella che fa paura. Perchè quella complessità è il regalo più bello che qualcuno possa farci.
Il regalo più bello che possiamo farci.
#viaggidiritorno #complessità #vita #filrouge

L’inizio è tutto.

Avete presente il momento in cui la sveglia suona e voi state ancora cercando di capire chi siete e dove vi trovate?

Si, immagino proprio di si.

Ecco, penso che sia proprio quel preciso istante quello in cui decidi come andrà la tua giornata. (E voi direte….siamo proprio messi bene allora).

Ci sono mattine in cui senti proprio che quel piede non si vuole poggiare a terra; così ti trascinerai fino al bagno, aprirai la doccia e starai un’ora sotto il getto dell’acqua bollente (…maledicendo gli spifferi che inevitabilmente sentirai una volta aperta la doccia).

Allora apri una fessura piccolissima, giusto quel tanto che ti permette di infilare la mano e tastare il mobiletto a sinistra per cercare di trovare l’accappatoio.

No, la cintura come al solito non l’avevi infilata dentro i passanti e così cade nel piatto della doccia inzuppandosi. Ecco che cominci la giornata pesando otto chili di più e pendendo dal lato zuppo dell’accappatoio (andiamo bene!)

Apri l’armadio una prima volta e cominci a storcere il naso perché come al solito non c’è niente che metteresti. Vai a fare colazione e poi torni speranzosa di fronte a quelle ante.

No, non c’è niente di nuovo che si è materializzato mentre scaldavi il latte.

Quindi ti riduci a scegliere all’ultimo momento, proprio come al ristorante quando, di fronte al menù, lasci che a farti scegliere sia l’ansia da cameriere con il tablet in mano.

Ti vesti in tutta fretta dimenticandoti l’accappatoio bagnato sul letto. La cinta bagnata finisce inevitabilmente per inzuppare il cuscino, ma sei troppo impegnata a capire con quanti minuti di ritardo arriverai questa volta per ricordarti di quel particolare.

Finirai per ricordarlo quando stanca non vedrai l’ora di tuffarti con un triplo salto carpiato dentro il letto e invece passerai mezz’ora con il fono per cercare di renderlo abitabile.

E così, ti addormenti. Con il telefono in mano. Poco prima di riuscire a mettere la sveglia.

Lascio a voi immaginare come andrà domani.

 

 

Scricciolo.

A volte incontri dei piccoli concentrati di energia. Energia che non fa nulla per nascondersi. (E per fortuna).
A me e’ successo proprio oggi pomeriggio.
Ero seduta di fronte ad un caffe’ ( si fa per dire…in effetti era un orzo. Tristissimo, come me l’ha definito qualcuno).
Sapevo che sarebbe spuntata dietro l’angolo da un momento all’altro.
L’avevo sentita solo telefonicamente. Conoscevo la sua storia e volevo scriverla, perche’ c’era qualcosa di tremendamente bello in tutto quello che avevo percepito.
Quando l’ho vista arrivare non ho avuto bisogno di nessun segno di riconoscimento per capire che fosse lei.
Ci siamo salutate, si e’ seduta e ha cominciato a parlarmi come se ci conoscessimo da una vita. Davvero una bella sensazione.
Niente barriere. Niente forzature. Solo un uragano di parole. (Tra me e lei in effetti non so ancora dire chi fosse peggio).
Un passato difficile e quella sfrontatezza che e’ palesemente solo voglia di riscatto. Solo voglia di credere nella possibilita’ di farcela. E farcela davvero.
Non deve convincermi di questo. C’e’ gia’ riuscita senza nemmeno fare il minimo sforzo.
Una di quelle ragazzine che si fanno voler bene fin dal primo momento. Di quelle pestifere che ti prendi a cuore perche’ ne riconosci le enormi potenzialita’.
Mi parla della comunita’ in cui e’ stata, dei bellissimi legami che e’ riuscita a creare e della sua voglia di poter sfruttare la sua esperienza per poter aiutare chi, come lei, ha intrapreso un percorso incidentato, senza con questo macchiare la propria anima.
In effetti in lei non si vedono affatto i segni del suo passato. Sembra non averlo mai vissuto davvero. Glielo percepisci addosso per il solo modo di parlare e di affrontare temi che sarebbero stati normalmente al di fuori della portata di una ragazzina di quell’eta’.
E’ proprio vero che ogni singolo passo del proprio personale percorso non e’ mai vano. Nulla e’ tracciato a caso, anche quando il senso di quelle pennellate proprio non lo capisci e ti sembrano solo il frutto di un destino insensato.
La cosa che piu’ mi ha colpito di questa giovane donna e’ proprio la sua enorme forza e quel sorriso che sa di leggerezza.
Mentre ci siamo salutate, l’ho abbracciata forte, augurandomi di vederla risplendere di quella luce ai miei occhi gia’ palese.
Perche’ quando il sole picchia forte non c’e’ scampo per nessun tipo di ombra. E lei davvero sembra non conoscerla affatto.
Ciao piccolo grande sole. #labellezzadegliincontri ❤❤❤

Trecce bionde.

“Memoria del telefono piena”. La mia scritta preferita. Decisamente. Soprattutto se compare mentre sto cercando di fotografare qualcosa che puo’ sfuggirmi da un  momento all’altro. E’ proprio un brivido che ti sale lungo la schiena, arrivando ai nervi con una capacita’ a dir poco sorprendente.

Forse e’ il caso di fare pulizia. Si, di quelle che durano da Natale a Santo Stefano,ma che almeno danno una tregua momentanea da quella scritta che dispettosa continua a lampeggiare anche dopo aver esaurito l’eliminabile.

Questa no, questa no, questi si…e poi una foto, una di quelle che avevo protetto da sguardi indiscreti. Il senso di tutto quello in cui credo.

Spettacolo teatrale in carcere: il sipario si chiude e arriva il momento dei saluti. Intere famiglie presenti, fosse anche solo per la possibilita’ di condividere la stessa dimensione spazio-temporale con i propri cari. E’ un’elemosina di attimi. Briciole di sguardi di cui si ricorda soprattutto l’assenza. Quell’assenza che fa male e buca i ricordi, svuotando le emozioni.

Trattenersi. E’ il verbo che va per la maggiore. Nessuno slancio. Compostezza.

Ma una bimba non ci sta a limitarsi. Non ci sta. Con la classica irresistibile ribellione dei poppanti alle regole.

Il suo papa’ sta per svanire di nuovo dietro il sipario ma prima le riserva un bacio da lontano. Mi dispiace quasi rubare questo momento, dovrebbe essere loro.

Il diritto di proprieta’ sugli attimi. La cosa che a me mancherebbe di piu’. Evidentemente quella bambina e’ d’accordo con me, perche’ sfugge alla stretta della madre che inutilmente cerca di recuperarla correndo tra le sedie della platea. Trecce bionde (mi piace ricordarla cosi’) sale sulle scalette che la dividono da quel bacio e salta addosso al suo papa’. Sono tante le lacrime. E mentre gioisco per quello slancio che non si e’ lasciato addomesticare, scatto una foto, ripromettendomi di regalarla a quella simpatica ribelle per la quale ho fatto un tifo silente.

La forza della presenza. La necessita’ della presenza. Mi chiedo se sia giusto per trecce bionde dover affrontare tutto questo, limitando le immersioni in quelle braccia e trasformandosi in una ribelle per il solo naturale bisogno di tempo in piu’.

Scende da quelle scalette come un’eroina che ha vinto la sua personale battaglia e mentre si asciuga i lacrimoni l’abbraccio anch’io. In quella stretta la sento sofferente ma terribilmente viva. E forse quell’abbraccio serve piu’ a me che a lei.

Non privarsi dei propri slanci e delle proprie emozioni. Non privarsi di se stessi. Mai.

E allora forse quella scritta puo’ continuare a lampeggiare. Trecce bionde ha riempito la memoria. Si, ma soprattutto, il cuore. #slancio #attimidiproprieta’ #battaglie

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L’amore mi ha distratta.

Esco di corsa dal lavoro e mi precipito a fare la spesa, evitando di aprire i salatini che ho gia’ buttato nel carrello. Faccio il giro e in un lampo sono alla cassa (Wow..i salatini sono ancora intatti..).
Cassa amica…di chi devo ancora capirlo vista la fila colossale (I salatini sono sempre piu’ a rischio).
Do uno sguardo distratto a quello che ho comprato sperando di non essermi dimenticata nulla…ma tanto e’ inutile perche’ la cosa piu’ importante mi tornera’ in mente esattamente nel momento in cui avro’ varcato la soglia di casa.
Forse forse e’ arrivato il mio turno e mentre aspetto che la coppia di signori davanti a me passi le ultime cose, ecco che la cassa si blocca. (No eh! No…)
Chiamo l’omino delle casse e mentre in una catena di pronto soccorso, lui chiama il super omino delle casse, sento la signora (70enne?!) che cerca di convincere il marito a lasciare le cose che non sono riusciti a passare. <Per domani possiamo fare anche a meno delle fette biscottate!>. Ma il compagno non sembra molto d’accordo. <Devi sempre rovinare tutto! Quelle mi servono..con che cosa te lo porto il caffe’ domani mattina?>.
La mia allergia a San Valentino e’ risaputa, ma gli occhi sorridenti di quella signora hanno disteso le sue rughe e placato il mio desiderio di sbloccare la cassa con il pensiero.
Deve aver notato la mia espressione ammirata , perche’ tre secondi dopo lui mi guarda e mi dice: <Signorina sono 50 anni di matrimonio..quasi 51..ma non c’e’ mai stato un singolo giorno in cui io non abbia fatto di tutto per vedere i suoi occhioni nocciola sorridere cosi’. Ed e’ una sfida che vinco sempre>.
E mentre il super omino arriva, quasi mi dispiace veder svanire quei personaggi da fumetto che se ne vanno mano nella mano.
A volte nella vita si e’ attratti dal fuoco, da cio’ che divampa e sembra rendere tutto piu’ colorato. Ma poi arriva la cenere.
Beh quella coppia per me era acqua. Che scorre costante, adattandosi alle buche, al terreno. Che scorre, facedosi beffe degli ostacoli, perche’ il suo segreto e’ nel movimento. Nella sua volonta’.
E stavolta rientrando a casa, ho una scusa pronta per essermi dimenticata il pane. L’ amore mi ha distratta. #distrazioni #cassegaleotte #rughesorridenti

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Soffice infinito.

Stamattina mi sono svegliata sul divano.

C’ho messo un buon quarto d’ora a ricordarmi perché mi trovassi lì.

Non ricordo di aver sognato. Forse non l’ho fatto.

Ricordo solo di essermi svegliata con un’immagine.

Una di quelle che si stagliano nella mente proprio in questi pochi istanti in cui stai per aprire gli occhi.

Una di quelle dai contorni sfumati dal sonno e illuminati dalla realtà.

Dei palloncini che volano liberi.

Erano talmente tanti da coprire qualunque altra cosa.

Anche il cielo.

Eppure lo si percepiva lo stesso.

Quella sensazione di infinito che accoglie e che senti anche se non riesci a toccarlo.

Perché è lui che sfiora te.

A volte è solo un tocco. Una carezza.

A volte è una sensazione che senti nella pancia e che t’invade.

Sembra avere un proprio volume ma in realtà c’è. Sempre.

Sono i miei rumori a fargli concorrenza.

Quando li spengo, quando decido di essere, la sua melodia la sento forte.

E allora quei palloncini non scoppiano. Non si agganciano.

Volano trovando il loro spazio.

La loro dimensione.

Senza scalpitare.

Senza accavallarsi.

E poi quel cielo lo vedi.

Lo vedi prendersi gioco di te e del tuo scetticismo.

Ti sorride.

E mentre mi immergo in quell’immagine, mi riprometto di credere in quel blu infinito anche quando non lo vedo.

Di credere di esserne accarezzata, anche quando non lo sento.

Di farne parte anche quando la mia anima si isola e si distrae capricciosa.

Torno a farci pace e volo anch’io tra quei palloncini.

Splendendo dei miei colori.

Nel mio piccolo spazio infinito.

Sulla soffice nuvola della mia vita.

palloncini